Don Chisciotte contro i moderni endriaghi


(Racconto di Mario Raimundo Caimacán, pubblicato nel 2023 in «12 Relatos Fantásticos»)

Dopo aver lasciato il Palazzo dei Duchi e ricongiuntosi con il suo sveglio scudiero Sancho Panza, il Cavaliere dalla Triste Figura decise che fosse Ronzinante, come all’inizio, a scegliere la rotta; e volle Dio, o il caso, o il destino, o il desiderio del nobile animale, che uomini e bestie imboccassero il cammino che conduce alla Rocca di Gibilterra. Allora Sancho ricordò uno strano sogno e disse a don Chisciotte:

—Mio Signore, qualche notte fa, ancora in terre del Regno d’Aragona, sognai la cosa più strana che si possa sognare… che gli eretici inglesi si erano impadroniti della Rocca di Gibilterra e dicevano che era parte d’Inghilterra.

Don Chisciotte scoppiò in una sonora risata e, dopo un poco, gli disse:

—Solo a voi, che non avete neppure un briciolo di sale in zucca, può capitare di sognare una sì grande sciocchezza, Sancio. Perché un tale impossibile avvenisse, occorrerebbe anzitutto che non esistesse nemmeno un solo Cavaliere Errante in tutta la Spagna, che tutto il Mare Oceano si seccasse e che gli uomini volassero come uccelli. E vi consiglio, Sancio: non ripetete a nessuno un tal sogno di follia e vaneggìo, perché potrebbe accadere che vi prendessero per pazzo, giacché è proprio dei pazzi dire, fare e sognare pazzie.
E continuarono a cavalcare, benché Sancio rimanesse a capo chino e fra sé pensasse che mai aveva udito di qualcuno capace di sognare a volontà, ed era sempre stato convinto che i sogni fossero liberi come il vento.

Avanzavano con calma, liberi da ogni fretta, quando scôrsero la costa mediterranea, già in Andalusia, e furono colti da una sorta di tempesta di sabbia, mescolata a venti impetuosi con pioggia e spruzzi d’acqua marina, costellata di fulmini e tuoni che spaventarono bestie e uomini. Cessato lo strano e rapido fenomeno, e dissoltasi la nube umida di polvere e sabbia, apparve ai nostri impauriti cavaliere e scudiero uno strano sciame di pellegrini del mare, che scendevano in fretta da varie imbarcazioni stipate e in pericolo di capovolgersi. Per la notte, sebbene assai attenuata dalla luna piena, non potevano ancora distinguere con precisione l’identità di quella strana e allegra moltitudine, che gridava felice di toccare terra, s’inginocchiava e la baciava, o alzava le braccia e le preghiere al cielo in segno di gratitudine per essere scampata a un possibile e mortale naufragio. Verso di loro si diresse la nostra coppia errante, quando Sancho gridò più impaurito e sconvolto di pochi minuti prima, al vedere i terribili lampi e udire i tuoni assordanti:

—Ci invadono i musulmani d’ogni risma, mio signore don Chisciotte! Dobbiamo correre ad avvisare gli ufficiali del Re, per chiamare alle armi tutti i cristiani di questa contrada e di tutta la Spagna, ché pare che questa gente di guerra sia parte dell’avanguardia d’un grande esercito nemico, mio signore! —esclamò allarmato.

—Non siate così pusillanime, Sancio, ché gente di guerra non è! E quand’anche lo fosse, il mio forte braccio basterebbe a metterli in fuga o a far loro mordere la polvere della sconfitta, pur fosse un esercito più grande di quello che condusse Annibale da Cartagine; ma non è così, timoroso Sancio —replicò con energia don Chisciotte—. Non vedete forse le molte donne e i bambini che formano la metà o più di quella moltitudine che vi atterrisce? Sono tristi reliquie di qualche città distrutta in guerra, come Troia per opera dei fieri Greci, o vittime di qualche terribile endriago alleato di un malvagio mago incantatore.

—Sia come sia, mio signore, il prudente è tornare ad avvisare, ché è molta gente e non sappiamo di certo chi siano, d’onde vengano e che cosa cerchino qui, che non sono cristiani e ciò è evidente dai loro vestiti e colori; laggiù, più che mori, olivastri e ramati, vedo molti neri —osservò Sancho.

—Mori, neri, tartari o chiunque essi siano, Sancio, sono uomini e perciò nostri fratelli in Dio; e Dio non fa distinzioni e dunque nessuno deve farle, poiché tutti gli uomini fummo creati da Dio a sua immagine e somiglianza; e perciò, Sancio, i sapienti del mondo sanno che Dio è di tutti i colori e parla tutte le lingue —spiegò con semplicità don Chisciotte.

—E le donne le fece pure Dio, da una costola d’Adamo, e per questo devono eterna obbedienza agli uomini, come ben ricordo dice il curato del paese —disse Sancho, presuntuoso della sua buona memoria e dei suoi saperi.

—Non siate mentecatto, Sancio! E non dite più sciocchezze! Non intendete che Dio parla in parabole? La costola d’Adamo significa che ogni uomo è incompleto senza una donna, non che la donna sia cosa appartenente a un uomo o gli debba servile obbedienza; Dio creò uomini e donne liberi e uguali in diritti, quali figli di Dio che sono e sempre sono stati. O ignorate che donna Isabella di Castiglia fu nostra Regina Cattolica, e che la marchesa donna Isabel Barreto, Adelantada e scopritrice delle Isole Marchesi nell’Oceano Pacifico, fu la nostra prima Ammiraglia? —lo corresse don Chisciotte.

—Lo ignoravo, mio signore, come ignoro leggere e scrivere. Ben potrebbe però Dio smettere di parabole e parlare chiaro e secco, che al pane pane e al vino vino; e così tutto sarebbe più semplice ed eviteremmo contese, ché non capisco questa voglia di complicare ogni cosa, e guardi come stiamo —brontolò il rimproverato Sancho.

—Dici bene, Sancio, e appena potrò riferirò le tue raccomandazioni al medesimo Papa che sta a Roma —rispose festoso don Chisciotte—. Ora avviciniamoci a questa gente, nel caso abbisognino della mia difesa e del mio soccorso.

Detto questo affrettarono il passo e presto si trovarono davanti a una moltitudine di quasi mezzo migliaio di stupiti migranti in cerca di vita e asilo in Spagna o in qualsiasi altra nazione d’Europa. Giungevano dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina. Erano latinoamericani, arabi, neri, beduini e genti di molti altri luoghi; uomini, donne e bambini di diversi paesi, colori, lingue e religioni, uniti dalla speranza comune di salvare la vita e avere un futuro in una società civile, democratica e rispettosa dei Diritti Umani. Fuggivano da guerre, stragi, schiavitù, carestie, violenze, discriminazioni, o da crudeli Dittature di tirannelli o fanatici politici o religiosi. Erano emigranti in esodo nel secolo XXI, che s’imbatterono all’improvviso in un fantastico Cavaliere Errante del Seicento e nel suo scudiero, e la cui maggiore preoccupazione era non essere denunciati alla polizia migratoria. Molti non parlavano spagnolo benché quasi tutti sapessero chi fossero don Chisciotte e Sancho Panza. Gli ispanoamericani erano, paradossalmente, quelli che meno capivano che cosa stesse accadendo. Mal momento per presentarsi due attori o due pazzi travestiti da don Chisciotte e Sancho, pensarono molti.

Don Chisciotte interrogò vari degli ispanofoni e capì che erano stranieri in cerca di rifugio, ad eccezione dei molti cristiani delle Indie, sudditi del Re con pieni diritti di trasferirsi e vivere in Spagna in quanto anch’essi spagnoli; tutti temevano la Santa Hermandad e gli Eserciti del Re, ma ancor più i paurosi endriaghi e i diabolici incantatori da cui fuggivano, lasciandosi alle spalle case, beni e affetti, radici, terre, fiumi, mari, cieli e amici; le loro patrie strappate via da sì malefici esseri infernali. Don Chisciotte ritenne necessario disfare tali torti, giacché in parti delle Indie esistevano diabolici endriaghi e maghi incantatori usurpatori del Regio Governo; e si rivolse alla moltitudine in attesa dall’alto della propria cavalcatura, dalla sella del suo magro Ronzinante, e con voce grave, ben timbrata e sonora, pronunciò questo breve discorso:

«Povere brave genti giunte dal mare in cerca di rifugio e riparo: io sono il Cavaliere dei Leoni, don Chisciotte della Mancia, Cavaliere Errante e Paladino di Spagna, e in suo nome e in nome della mia Signora Dulcinea del Toboso vi do il benvenuto in queste terre che sono Spagna e vi concedo asilo, protezione e aiuto. Vi offro fraterno e completo rifugio. Non abbiate timore della Santa Hermandad né degli Eserciti del Re, che voi chiamate Migrazione, Polizia, Guardia Civil o come vorrete chiamare coloro che servono la Corona, ché i miei fueros e facoltà di Cavaliere Errante mi autorizzano a darvi la mia protezione, e il nostro Re così la avalla e avallerà in virtù delle Sacre Leggi della Cavalleria Errante. La mia protezione la estendo a tutti voi, uomini, donne e bambini, d’ogni età, colore e condizione, siate credenti nel Dio unico e vero o viviate ancora nell’errore, cioè siate cristiani, ebrei, musulmani o pagani delle Indie o dell’Africa o della Tartaria, di Trapisonda, della Colchide, della China, delle Antipodi o di qualsivoglia altra regione del mondo; poiché tutti siamo figli di Dio, ed è mio dovere di Cavaliere Errante compiere i suoi mandati di Giustizia Divina sopra qualunque legge soltanto umana; pertanto, d’ora innanzi siete tutti liberi e uguali, a prescindere che nei vostri regni d’origine foste schiavi o servi.

E poiché è necessario estirpare il male nel suo nido, vedendo che siete gente debole, pacifica e indifesa, e meritate la mia protezione per tanto soffrire, adempiendo ai miei doveri di Cavaliere Errante —proteggere e dare riparo ai deboli, alle vedove, agli orfani, alle donne, ai bambini e agli anziani, agli affamati, ai bisognosi, agli schiavizzati, agli oppressi e agli ingiustamente perseguitati— vi manifesto la mia irremovibile risoluzione di viaggiare in ciascuno dei regni stranieri donde provenite e nei Regni delle Indie interessati, che fanno parte della Corona di Spagna; e gli indiani che sono tra voi siete pertanto spagnoli e non stranieri e qui siete in casa vostra; per, con il mio forte braccio e la mia spada inconfutabile, porre fine alla caterva d’indiavolati endriaghi, malvagi maghi incantatori, crudeli bricconi, gianti e malandrini che usurpano i vostri disgraziati regni e repubbliche, secondo le notizie che voi stessi mi avete riferito. Estirperò con l’acciaio toledano delle mie invincibili lancia e mortale spada gli infernali endriaghi, i superbi gianti e i malefici incantatori che esercitano sì infami gioghi con titoli di Dittatori, Capi Supremi, Presidenti, Primi Ministri, Premier, Segretari del Partito, Caudillos, Caciques, Gamonales, Caimacanes, siano eterni, vitalizi, perpetui, provvisori o temporanei, o come vogliano chiamarsi, soprannominarsi o nominarsi quei mostruosi bricconi, malandrini e canaglie. Nulla potranno contro di me i vili delinquenti, devastatori di campagne e città, che chiamate ladri dell’Erario, né gli sgherri, mercenari e carnefici travestiti da giudici, poliziotti o soldati, né gli assassini, torturatori, ciarlatani e demagoghi. La mia affilata e temprata spada darà conto di tutti loro, pur fossero più temibili e perversi dei Trenta Tiranni d’Atene, e pur se i felloni facessero uso delle loro armi, astuzie, trappole, inganni e fandonie. Non lascerò burattino con la testa, e là sta Mastro Pedro quale vero testimone della mia costante condotta. Quando i vostri regni o repubbliche saranno liberati dalla infame e vile canaglia, e morti gli abominevoli tiranni e castigati i loro vili seguaci, voi deciderete se tornare o no alla terra dei vostri padri o adottare una nuova patria per voi e i vostri figli. Solo vi chiedo, in cambio di questa portentosa impresa che do per fatta e compiuta, che alla prima occasione che vi si presenti, soddisfatti i vostri bisogni di pane, tetto e riparo, vi presentiate alla mia Signora Dulcinea del Toboso e le ringraziate il bene che oggi vi faccio nel suo bel nome e in onore della Spagna, e le facciate sapere della mia temporanea assenza. E, essendo oggi martedì e partendo proprio ora per il medesimo mare che a voi vi ha portato in Spagna, che vi accoglie con fraternità cristiana e come legittimi figli quanti siete indiani, cioè spagnoli delle Indie del Mare Oceano, questa domenica vi chiedo di innalzare una preghiera in mio nome all’Altissimo, a Dio Onnipotente, che è uno solo qualunque sia il nome con cui lo chiamate, affinché mi conceda la vittoria su ciascuno dei felloni spergiuri che rimanderò all’inferno, o mi conceda degna morte in battaglia; perché sta scritto che ritornerò trionfante con la mia spada invitta, implacabile e giustiziera, oppure la mia sepoltura sarà nelle Indie spagnole o in terra straniera».

Tutti gli emigrati lo guardavano con curiosità e stupore e tacquero di fronte alla solennità delle sue parole, persino coloro che non parlavano spagnolo, poiché avvertirono la travolgente emozione del momento; tranne Sancho, che ansioso e preoccupato domandò:

—E io, mio Signore don Chisciotte, devo andare anch’io in quel lungo e pericoloso viaggio in terre sconosciute e contro tanti nemici malvagi e potenti?

—I Cavalieri Erranti combattono, non contano i nemici, Sancio. Io affronterò tutti i pericoli, quali che siano. E voi porterete soltanto il mio scudo e le mie armi quando occorra —gli rispose imperturbabile don Chisciotte.

—Ma, mio Signore, con tanti nemici è andare a una morte sicura! —replicò Sancho.

—Sicura no, quasi sicura; e per la differenza mi do per vincitore! —disse ancora imperturbabile don Chisciotte. E aggiunse:
—Sancio, quando la gravità del male ci impone di lottare, non importa vivere o morire: importa lottare; e io devo lottare per loro, perché sono forte, valoroso, esperto nelle armi e battagliero, e rientra nei miei doveri di Cavaliere Errante. E loro sono molto deboli e non possono applicare il giusto rimedio, o non sanno che contro tali mostri il miglior rimedio è la spada implacabile. E quei bricconi, per di più, stanno insudiciando nelle Indie le glorie di Spagna. Benché debba riconoscere, Sancio, che conto su tutti i vantaggi e vincerò di sicuro, perché ho fede in Dio, la causa è giusta e la mia signora Dulcinea del Toboso mi ispira e rende invincibile il mio braccio. In ogni caso, Sancio, morire tocca a tutti —aggiunse don Chisciotte—, e s’incamminò impavido a imbarcarsi con Ronzinante e le sue armi su una delle fragili e strane imbarcazioni che avevano portato i migranti. Sancho smise di pensare e lo seguì, perché non poteva lasciarlo partire da solo. Inoltre, se necessario, si sarebbe assicurato che don Chisciotte, che tanto ama la Spagna, avesse sepoltura nel suo sacro suolo, o sarebbero due le tombe in terra straniera. E mentre l’imbarcazione su cui salirono cavaliere e scudiero solcava le onde, una fitta bruma li avvolse e si dissolse con tutti i suoi occupanti, uomini e bestie, e tutto accadde in pochi secondi sotto gli occhi spalancati delle centinaia che stavano sulla spiaggia. Gli emigrati che non parlavano spagnolo osservarono la scena attoniti, stupefatti. Quelli che parlavano la lingua di Cervantes guardarono meravigliati e si chiesero, sconcertati, come fosse possibile che due grandi personaggi letterari del Seicento, creati dal geniale Miguel de Cervantes e protagonisti del miglior romanzo del mondo, li avessero accolti su una spiaggia di Spagna in una notte ignota del secolo XXI, dopo una lunga, precaria, clandestina e pericolosa traversata. E poi scomparvero come per arte d’incantatori.

(Autore: Mario Raimundo Caimacán, dal suo libro «12 Relatos Fantásticos», pubblicato nel 2023.)

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